Pagina:Commedia - Inferno (Tommaseo).djvu/56

Da Wikisource.

XLVIII LE RIME. fice, ella disse che troppo bene disegnavo per orefice. E fattosi,, portare da una sua cameriera un giglio di bellis- simi diamanti legati in oro, mostrandomegli , volse che io gli stimassi. Appresso mi domandò se mi bastava 1' animo di legargli bene: io dissi che molto volentieri. E alla pre- senza di lei ne feci un pochette di disegno: e tanto meglio io lo feci quanto io pigliava piacere di trattenermi con quella bellissima e piacevolissima gentildonna. Finito il di- segno, sopraggiunse un'altra bellissima donna romana, la quale domandò alla Porzia quel eh' ella quivi faceva. La quale, sorridendo, disse: Io mi piglio piacere di veder di- segnare questo giovane dabbene, il quale è buono e bello. Io, venuto in un poco di baldanza, pure mescolato un poco d' onesta vergogna, divenni rosso, e dissi : Quale io mi sia, sempre, Madonna, sarò paratissimo a servirvi.- La gentil- donna, anch'olla arrossita alquanto, disse: Ben sai ch'io voglio che tu mi serva. E pòrtomi il giglio, disse che me lo portassi; e di piti mi diede venti scudi d'oro che avea nella tasca. La gentildonna romana disse: S'io tossi in quel giovane, volentieri me ne anderei con Dio. Madonna Porzia aggiunse, che le virtù rare volte stanno co'vizii;e che, se tal cosa io facessi, ingannerei quel bell'aspetto, ch'io dimostravo, d'uomo dabbene. E voltasi, presa per mano la gentil donna, con piacevolissimo riso mi disse: Addio, Penvenuto. » Io non so quale scena di romanzo possa parere più leg- giadra di questa. Non è dato airimitnzione produrre si cari e placidi alletti. L'affètto con quelle schiette parole manifestato da bella dama al povero artista , un affetto a cui non sai se la stima sia cagione o pretesto, cui non sai se la modestia di lui tarpasse le ale o l' imaginazione le distendesse, sarebbe cosa degna che un poeta lo tratti, se un poeta vero osasse credere di poterlo pur toccare senza privarlo di vita. Ma dal cittadino severo all'orefice dise- gnante nella casa de' Chigi noi riconosciamo già distanza immensa. JNè donna a' tempi di Dante avrebbe con simili parole accarezzata la baldanza d'un uomo; né l'arte era ancora per sola sé professione così grave da occupare tutti i pensieri della vita, da abbellirne le noie, da palliarne i dolori; né un affetto concepito da Dante sarebbe, siccome questo, ito a finire in un cartoccio di monete, non buono ad altro che a far njorire d'invidia Lucagnolo. Più nobili, più raccolti, più forti erano nel trecento gli affetti. Né l'a- more, né l'arte, né cosa alcuna al mondo occupava l'anima intera dell'uomo; l'anima umana era capace ancora. Ma a chi più delle gioie ardenti e severe piacciono i luccicanti affetti e gai, pensi a madonna Chigi, la quale, prendendo