Pagina:Commedia - Paradiso (Imola).djvu/116

Da Wikisource.

106


paradiso

Ridur lo mondo a suo modo sereno ,- Cesare per voler di Roma il tolie: E quel che fe’ da Varo insino al Reno, Isara vide, ed Era, e vide Senna, Ed ogni valle onde Rodano è pieno. 60 Quel che fe’ poi ch’ egli Lisci di Ravenna, E saltò il Rubicon, fu di tal volo Che nol seguiteria lingua, nè penna. 63 In ver la Spagna rivolse lo stuolo, Poi ver Durazzo; e Farsaglia percosse Sì, che al Nil caldo si sentì del duolo. 66 Antandro e Simoenta, onde si mosse, Rivide; e là dov’ Ettore si cuba, E mal per Tolommeo poi si riscosse: 69 Da onde venne folgorando a Giuba; Poi si rivolse nel vostro occidente, Dove sentia la Pompeiana tuba. 72 Di quel che fe’ col baiulo seguente, Bruto con Cassio nello inferno latra, E Modena e Perugia fu dolente. 75 Piangene ancor la trista Cleopatra, Che, fuggendogli innanzi, dal colubro La morte prese subitana e atra. 78 Con costui corse insino al lito rubro; Con costui pose il mondo in tanta pace, Che fu serrato a Giano il suo delubro. 81 Ma ciò che il segno, che parlar mi face, Fatto avea prima, e poi era fatturo Per lo regno mortal che a lui soggiace, 8 Diventa in apparenza poco e scuro, Se in mano al terzo Cesare si mira