Pagina:Commedia - Paradiso (Imola).djvu/242

Da Wikisource.

232 PARADiSO E tosto s’avvedrà della ricolla Della mala coltura, quando il loglio Si lagnerà che l’arca gli sia tolta. 120 Ben dico, clii cercasse a foglio a foglio Nostro volume ancor troveria carta, U’leggerebbe: io mi son quel ch’io soglio. 123 Ma non fia da Casal, nè d’Acquasparta, Là onde vengon tali alla Scrittura, Ch’ uno la fogge, e l’altro la coarta. 126 Io son la vita di Bonaventura Da Bagnoregio, che nei grandi ufici Sempre posposi la sinistra cura. 129 Illuminato e Agostin son quinci, Che fiir dei primi scalzi poverelli, Che nel capestro a Dio si foro amici. 132 Ugo da Sanvittore è qui con etti, E Pietro Mangiadore, e Pietro Ispano, Lo qual giù luce in dodici libelli: 13 Natan Profeta, e il Metropolitano Crisostomo, e Anselmo, e quel Donato Che aJla prima arte degnò poner mano: 138 Rabano è qui, e lucemi da lato Il Calabrese abate Giovacchino Di spirito profetico dotato. 141 A inveggiar cotanto paladino Mi mosse la infiammata cortesia Di fra Tommaso, e il discreto latino; E mosse meco questa compagnia. 14