Pagina:Commedia - Paradiso (Imola).djvu/256

Da Wikisource.

26


paradiso

Dal suo lucente, che non si disuna Da lui, nè dall’ Amor che in br s’ intrea, Per sua bontà il suo raggiare aduna, Quasi specchiato in nove sussistenze, Eternalmente rimanendosi una. 60 Quindi discende all’ ultime potenze Giù d’atto in atto tanto divenendo, Che più non fa che brevi contingenze; 63 E queste contingenze essere intendo Le cose generate, che Produce Con seme e senza seme il Ciel movendo. 66 La cera di costoro, e chi la duce Non sta d’ un modo, e però sotto il segno Ideale poi più e men traluce: 69 Onde egli avvien ch’un medesimo legno, Secondo specie, meglio e peggio frutta, E voi nascete con diverso ingegno. 72 Se fosse appunto la cera dedotta, E fosse il Cielo in sua virtù suprema, La luce del suggel parrebbe tutta. 7i Ma la Natura la dà sempre scema, Similemente operando all’artista, Che ha I’ abito dell’arte e man che trema. 78 Però se il caldo Arnor la chiara vista Della prima virtù dispone e segna, Tutta la perfezion quivi s’acquista. 81 Così fu fatta già la terra degna Di tutta l’animal perfezione; Così fu fatta la Vergine pregna. Sì eh’ io commendo tua opinione; Chè I’ umana natura mai non fue,