Pagina:Commedia - Paradiso (Imola).djvu/567

Da Wikisource.

canto

XXXIII. 557

E l’un dall’altro, come In da In, Parea reflesso; e il terzo parea foco, Che quinci e quindi egualmente si spiri. 120 O quanto è corto il dire, e come fioco Al mio concetto!e questo a quel,ch’io vidi, È tanto, che non basta a dicer poco. 123 O luce eterna, che sola in te sidi, Sola t’intendi, e da te intelletta, E intendente te ami e arridi! 126 Quella circulazion, che sì concetta Pareva in te, come lume reflesso, Dagli occhi miei alquanto circospet(a, 129 Dentro da sè del suo colore stesso Mi parve pinta della nostra effige: Per che il mio viso in lei tutto era messo. 132 Qual è il geomètra che tutto si affige Per misurar lo cerchio, e non ritrova, Pensando, quel principio ond’ egli indige; 135 Tale era io a quella vista nuova: Veder voleva come si convenne L’ imago al cerchio, e come vi s’ indova: 138 Ma non eran da ciò le proprie penne; Se non che la mia mente fu percossa Da un fulgore, in che sua voglia venne. 141 All’alta fantasia qui mancò possa: Ma già volgeva il mio desiro e il velle, Sì come ruota che ugualmente è mossa, L’Amor che move il Sole e l’altre stelle. 145