Pagina:Commedia - Purgatorio (Buti).djvu/442

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   432 p u r g a t o r i o   x v i i i. [v. 118-129]

dal detto imperadore Melano, Brescia, Piagenzia e Cremona; per la qual cosa, tornato lo ditto imperadore de la Magna nel 1261, disfece Melano e l’altre tre suprascritte et arsele; de la qual cosa si dolse tutta Lombardia, non che Melano. E tal à già l’un piede entro la fossa; cioè è già prossimano a la morte, perchè è vecchio. Questi fu messere Alberto de la Scala signore di Verona lo quale, avendo uno suo filliuolo bastardo sciancato e rio, lo fece fare abbate del ditto monasterio: e però finge l’autore che quell’anima parlasse, andando, di lui lo quale non era anco morto, quando l’autore finse che avesse questa imaginazione. Che; cioè lo quale, tosto piangerà quel monastero: imperò che fi’ punito da Dio d’avervi posto sì fatto abbate, E tristo fi’ d’avervi avuta possa: imperò che ne patirà pena; e dice tosto, perchè tosto morrà, e di po’ la morte porterà la pena; et assegna la cagione. Perchè; cioè imperò che, il suo fillio; cioè del ditto messere Alberto de la Scala, mal del corpo intero: questo dice, perch’era sciancato, E de la mente peggio: imperò che era più sciancato de la mente che del corpo, e che mal nacque: imperò che nacque d’adulterio, A posto in loco di suo pastor vero; e forsi che vel puose di fatto, sensa l’autorità apostolica, poi che l’autore usa le suddette parole; o forsi lo dice l’autore, perchè non operò quello abbate quello, che dè operare lo vero abbate. Dice ora l’autore, Io; cioè Dante, non so, se più disse; cioè quello spirito, che andava correndo: imperò che la distanzia non mel lassò udire, o poi si tacque; cioè non so, se poi si tacque quando fu ito oltre. Tant’era già di là da noi trascorso; ch’io noi potei più intendere, Ma questo intesi; io Dante, e ritener mi piacque; per scriverlo poi1, che com’io l’abbo scritto. E questa finzione àe fatto l’autore, secondo la lettera, assai verisimile e moralmente: perchè queste non sono cose note per li autori, però finge che l’abbia detto quell’anima.

C. XVIII — v. 130-138. In questi tre ternari lo nostro autore finge come Virgilio li dimostrò2 due che veniano diritto, dando esempli dissuasori dell’accidia, mostrando lo danno che ne seguità3, dicendo: E quei che m’era ad ogni opo; cioè ad ogni bisogno, soccorso; cioè Virgilio, che sempre mi soccorrea a’ miei bisogni, Disse; cioè a me Dante: Volgeti qua; ecco che la ragione fa accorta la sensualità a considerare li esempli, che sono suasori a schifare l’accidia, e viddi due; cioè di quelle anime, Venir dando all’accidia di morso; cioè riprendendola; e questo è mordere l’accidia; cioè riprenderla, mostrando per esempli quanto ella è nocevile. Di rieto a tutti: imperò che li

  1. C. M. poi qui, com’io abbo
  2. C. M. li mostrò
  3. Seguità; antica inflessione della terza persona singolare del perfetto nei verbi della prima coniugazione. E.