Pagina:Commedia - Purgatorio (Buti).djvu/558

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46Quella favella tutta mi raccese1
     Mia cognoscenzia a le cambiate labbia,
     E ravvisai la faccia di Forese.
49Deh non contender a l’asciutta scabbia,
     Che mi scolora, pregava, la pelle,
     Nè a difetto di carne ch’io abbia;
52Ma dimmi ’l ver di te; e chi son quelle
     Du’ anime, che là ti fanno scorta:
     Non rimaner che tu non mi favelle.
55La faccia tua, ch’io lagrimai già morta,
     Mi dà a pianger mo non minor dollia,2
     Rispuosi io lui, veggendola sì torta.
58Però mi dì, per Dio, che sì vi sfollia;
     Non mi far dir, mentre io mi meravillio:
     Chè mal può dir chi è pien d’altra vollia.
61Et elli a me: De l’eterno consillio
     Cade virtù ne l’acqua, e ne la pianta3
     Rimasa addietro, ond’io sì mi assottillio.
64Tutta esta gente che piangendo canta,
     Per seguitar la gola oltra misura,
     In fame e sete qui si rifà santa.
67Di ber e di mangiar n’accende cura
     L’odor ch’esce del pomo, e de lo sprazo4
     Che si distende su per la verdura.
70E non pur una volta, questo spazo4
     Girando, si rinfresca nostra pena;
     Io dico pena, e dovrei dir solazo:4
73Chè quella vollia all’arboro ci mena,5
     Che menò Cristo lieto a dir Elì,
     Quando ne liberò co la sua vena.

  1. v. 46. C. A. Questa favilla
  2. v. 56. C. A. Mi dà di
  3. v. 62. C. M. Cadde
  4. 4,0 4,1 4,2 vv. 68, 70, 72. C. A. sprazzo - spazzo - sollazzo:
  5. v. 73. C. A. arbore