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DELL'INGEGNERE MILANI 349

Lettera dell’ingegnere Milani ad altro dei Direttori.

Brescia 15 ottobre 1837.

Ritardo ma non per ispasso. Mi son rotto testa e gambe tra i colli di Castel-Nuovo, Peschiera, Desenzano, Lonato e Castiglione, Castel-Solferino e Castel-Venzago, e non li ho ancora finiti: indi tra quelli di Calcinato e Montechiaro, che pajono collocati da Dio proprio per difendere il passo del Chiese, e per rompere i disegni nostri; ed ora sono a Brescia, che mi ha molto, ma molto, dei dolori di Vicenza. Vedrò poi da qui a Treviglio, e da Treviglio a Milano, fatta prima una corsa a Bergamo. Se giugnamo a passare per le città senza una spesa rovinosa, come credo, spero che si vedrà che non siamo andati per le rose. Intanto mi ricordi a tutti, A tutti, ed ami l’amico suo Milani.

— Si noti che codesti ampollosi dolori di Brescia partorirono poi la linea, che correva dritta dritta per sessantamila metri, infilando d’un colpo i sette migliori passi delle sette aque; al che, più assai che non la testa e le gambe, giovò quel filo di seta, dietro il quale si andò pur troppo senza studj, e come per le rose!

Ma se per molte parti dell’opera potevano assortirsi i migliori ingegneri del paese, per alcune richiedevasi chi avesse speciale notizia di strade ferrate; e non erano allora molti nel nostro regno. L’ingegnere Bruschetti aveva già assunta l’impresa di Como, e in quel suo progetto veramente non aveva dato prove di perizia distinta, tantochè si ebbe poi a rifare. Il sig. Colombani, nipote del cav. Gianella, dopo aver preso il grado d’ingegnere nella scuola di Ponti e Strade a Parigi, aveva lavorato in secondo, sotto l’ingegnere Clapeyron in quelle strade ferrate; vi aveva fatto prevalere le sue idee intorno alla costruzione dei ponti obliqui (V. Politecn. Vol I., p. 67); e tuttochè straniero, vi si era meritato l’incarico di condur poi da sè il progetto d’una nuova strada; ma desideroso di giovar piuttosto al suo paese, e del resto giovine di facoltosa famiglia, avrebbe a qualsiasi patto preferita la nostra impresa; e alcuni lo desideravano. V’era finalmente l’ingegnere Milani, il quale, se non poteva vantare una pratica effettiva