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112 così parlò zarathustra - parte seconda


Il gusto è a un tempo il peso e la bilancia e colui che pesa: guai a chi vive, se volesse vivere senza disputare del peso e della bilancia e di coloro che se ne servono.

Se quel sublime potesse stancarsi della sua eccellenza, la propria bellezza a mala pena si rivelerebbe. Non prima dall’ora io voglio provarlo e compiacermene.

Solo quando si sarà allontanato da sè stesso, egli potrà saltare oltre la propria ombra — dentro il suo sole.

Troppo a lungo egli indugiò nell’ombra: le guancie impallidirono al penitente dello spirito; per poco non morì affamato, nella sua attesa.

C’è ancora del disprezzo nel suo occhio; e il labbro si atteggia ancora al fatidio. Egli riposa, ma il suo riposo non si è ancor disteso al sole.

Egli si dovrebbe far simile al toro: la sua felicità dovrebbe aver l’odore della terra, non del disprezzo della terra.

Vorrei vederlo simile a toro bianco che precede, sbuffante e muggente, l’aratro: il suo muggire dovrebbe esaltare tutto ciò che è terreno!

Ancor tetro è il suo volto; l’ombra della sua mano l’oscura ancora. Offuscato è tuttavia il senso del suo occhio.

La sua stessa azione l’avvolge come un’ombra: la mano oscura l’attore. Egli non ha peranco trionfato della sua azione.

Mi piace in lui il collo taurino: ma ora io voglio vedere in lui anche lo sguardo dell’angelo.

Anche, egli deve dimenticare la sua volontà eroica: deve apparire come chi è sollevato nell’alto, e non soltanto come il sublime; — l’etere stesso dovrebbe sollevare quell’essere che ha perduta ogni volontà!

Egli vinse le fiere, e sciolse gli enigmi; ma dovrebbe ancor redimere i mostri e i misteri che ha in sè, e trasfigurarli in creature di cielo.

Ancora la sua conoscenza non ha appreso il riso nè dimenticata la gelosia! Non anche la sua animosa passione s’è quetata nella bellezza.

In vero non nella sazietà ma nella bellezza devono acquietarsi e sommergersi le sue brame! La grazia è la propria qualità di colui che sente con fierezza.