Pagina:Così parlò Zarathustra (1915, Fratelli Bocca Editori).djvu/150

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della visione e dell’enigma 151


«Oh, tu spirito della gravità», esclamai adirato, «non prender le cose troppo leggermente! Altrimenti io ti abbandono sul tuo sasso, sciancato, — e pure ti portai ben alto!».

«Guarda», continuai, «questo Momento! Da questo porticato «Momento» un sentiero eterno corre a ritroso: dietro di noi scorre una eternità.

Non devono forse tutte le cose che sono capaci di correre aver percorso una volta questo sentiero? Non devono quelle cose che possono accadere essere una volta di già avvenute, compiute, trascorse?

E se tutto è già stato una volta, che cosa pensi tu, o nano, di questo Momento? Non deve forse anche cotesto porticato — essere stato di già?

E le cose non sono esse forse collegate tra sè in tal modo, che questo Momento tragga dietro a sè tutte le cose venture? E per conseguenza — anche sè stesso?

Giacchè tutto ciò che delle cose può correre, anche fuori e via per questo lungo sentiero — deve correre una volta!

E quel tardo ragno, che striscia nel chiaror della luna, e lo stesso chiaror della luna ed io e tu davanti al porticato, che bisbigliamo insieme di cose eterne — non dobbiamo tutti esser già stati una volta? E ritornare, col fine di percorrere l’altra via, fuori, dinanzi a noi, quella via orribile: non dobbiamo forse eternamente ritornare?».

Così io parlai, con voce sempre più bassa: giacchè io avevo paura de’ miei proprii pensieri e di ciò che si nascondeva dietro ai miei pensieri.

Improvvisamente udii uggiolare un cane da presso.

Avevo mai udito uggiolare un cane in tal guisa? Il mio pensiero tornò indietro. Sì! Nella mia fanciullezza, nella mia più remoto fanciullezza.

Allora io avevo udito un cane uggiolare in tal modo.

E l’avevo anche veduto col pelo irto, la testa protesa, tremante, nel silenzio della mezzanotte, quando anche i cani credono negli spettri.

Era tale a vedersi ch’io ne sentii pietà. Appunto allora la luna piena, in un silenzio di morte, passava sopra la casa; e s’era soffermata, come una brace rotonda, furtivamente, sul tetto piano, come su cosa che sapesse appartenere ad altri.