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214 | così parlò zarathustra — parte terza |
Con la tempesta, che si chiama «spirito», io soffiai sul tuo mare agitato tutte le nubi spazzai via col mio soffio, e soffocai persino quello strangolatore che ha nome «peccato».
O anima mia, io ti ho conferito il diritto di dir no come la tempesta e sì come un cielo sereno: tu sei tranquilla al pari della luce e così attraversi le bufere struggitrici.
O anima mima, io ti ridonai la libertà su le cose create e increate: e chi conosce, come tu conosci, la voluttà di ciò che ha da venire?
O anima mia, io ti insegnai il disprezzo: non già quello che rode, come un tarlo, ma quello che tanto più ama quanto più sprezza.
O anima mia, io ti insegnai così efficacemente la persuasione, che hai appreso tu stessa a persuadere le tue ragioni: simile al sole che persuade persino il mare a levarsi verso la sua altezza.
O anima mia, io ti tolsi tutto ciò che si chiama obbedire, piegar le ginocchia e dir «signore»; io diedi a te stessa il nome di «francata dal bisogno» e di «fato».
O anima mia, io ti diedi nuovi nomi e variopinti trastulli; io ti chiamai «fato», e «orbita delle orbite», e «cordone ombelicale del tempo», e «cupola azzurra».
O anima mia, io abbeverai il tuo suolo di sapienza, e di tutti i nuovi vini ed anche dei vini oltre ogni memoria antichi e fervidi della sapienza.
O anima mia, ogni luce di sole e ogni tenebra di notte io diffusi su te, e ogni silenzio e ogni brama; — e tu crescesti simile ad un ceppo di vite.
O anima mia, straricca e sovraccarica tu sei ora, un ceppo di vite con le poppe turgide e coi grappoli copiosi e dorati!
— Copiosi e ricchi della tua felicità, e ancor vergognosi della attesa.
O anima mia, non v’ha in nessun luogo un’anima più di te ricolma d’amore, più pronta all’abbraccio e più vasta! Dove l’avvenire e il passato potrebbero esser più fortemente l’uno all’altro congiunti che non in te?
O anima mia, tutto io ti diedi: le mie mani per te son rimaste vuote: — ed ora? Ora tu mi chiedi con un mesto sorriso: «Chi di noi due deve render grazie?».