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il mago 241


Ben volentieri vorrei fare ammenda verso il tuo corpo, dacchè il piede di Zarathustra l’ha calpestato: e su ciò sto meditando. Ma un grido d’uomo in pericolo mi chiama in fretta lontano da te».

Così parlò Zarathustra.




Il mago.


1.

Ma allorquando fu giunto alla svolta d’una rupe, Zarathustra scorse, non molto sotto di sè, un uomo che si dibatteva da prima come un ossesso, e poi cadde prono a terra.

«Alto là!», disse Zarathustra nel suo cuore. «Quegli deve essere l’uomo superiore, da cui mi giunge quel grido di suprema angoscia: vediamo un po’ se posso aiutarlo».

Ma quando fu giunto là dove si trovava l’uomo disteso al suolo, vide ch’era un vecchio dagli occhi sbarrati; e per quanto s’affaticasse a sollevarlo, non potè giungerne a capo. Del resto l’infelice non s’accorse di Zarathustra: guardava intorno a sè in atto disperato, come un essere abbandonato da tutti. Finalmente dopo molto tremare e ansare e dibattersi egli incominciò a lamentarsi così:


Chi mi soccorre? In vano
     pietà domando e amore.
     Chi mi porge la mano?
     chi mi conforta il cuore?

Nel fango, ecco, languisco
     simile a un moribondo; mi tormenta
     ignota febbre; tremo; abbrividisco.
     E in me gelide acute freccie avventa
     un’arcana Possanza.
     Sei tu, malvagio Spirito, velato