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cosmorama pittorico. 287
in Roma, di Cosmate, e l’arca di S. Domenico di Bologna, di Nicola da Pisa, li soverchiarono in breve per grandezza e copia di lavoro a Napoli, il Sarcofago di Roberto d’Angiò e quello di Maria Sancia d’Aragona del Massuccio, quello di Benedetto XI. in Perugia di Giovanni Pisano, quello di Guido Tarlato in Arezzo, dei fratelli Sanesi, quello del Duca di Calabria e della madre del Re Roberto, dello Stefani e di Massuccio secondo, e finalmente l’arca di S. Pietro martire del Balduccio a Milano.

L’artista del monumento pavese vide questi miglioramenti e tutti li introdusse nell’opera propria: ragionevolezza nel concetto, nel collocamento degli Apostoli, del Feretro, dei Cherubini: ricchezza di ornati e di bassi rilievi, de’ quali i primi ne ha dovizia senza che soverchino, i secondi ben disposti e molti di bella composizione. Il marmo è condotto con molta fatica; perchè specialmente nelle piante e nelle parti architettoniche, si sono fatti trafori con molto studio e diligenza. La statua giacente del Santo è di buonissimo lavoro, e per la testa che ha vera intenzione di leggere, e per gli accessorj, buone tutte le piccole statue che ornano il monumento fatte con disegno e quasi tutte belle arie di teste; alcuni bassi rilievi e specialmente que’ della volta del feretro sono assai belli. Tutto insomma dimostra nell’artista uomo di genio, perito nello studio dei contemporanei, e, desideroso di migliorare l’arte propria. Io ho dato più lunga analisi e descrizione di questo monumento in un libro pubblicato in Pavia da Fusi nel 1833, sull’Arca di Sant’Agostino.

Ma di chi è mai ques’opera? i modesti scultori del trecento non usavano scrivervi il loro nome. Alcuni quindi congetturarono fosse di Agostino ed Agnolo Sanesi, e il Cicognara opera di Pietro Paolo e Jacobello veneziani. Ma il monumento parla per sè ove mancano le memorie: le opere di belle arti hanno uno stile e questo non falla. I Sanesi nel 1360 eran già morti: dal confronto di quest’opera poi con quelle dei due Veneziani si trova uno stile affatto diverso. Non è poi della scuola pisana, non del Lanfrani, non di Nino: non dell’Orgagna: cade sempre il sospetto dal confronto delle opere come provai nel libro accennato. Quest’opera tien solo lo stesso stile dell’arca di S. Eustorgio fatta dal Balduccio nel 1339 in Milano: ma nel 1368 il Balduccio era morto; l’artista dell’Arca di S. Agostino lo vinse di merito: dunque è uno scolaro che lo superò. Confrontati i monumenti di quel tempio si trovano dello stesso stile, quello di Azzone Visconti, quello di Bernabò Visconti in Milano, tutti però di Autori sconosciuti: ma uno della stessa mano per fortuna se ne trova a Verona, è la magnifica tomba di Can Signorio: quivi il Signor della Scala che si fece fare il sepolcro ancor vivente e certo chiamò l’artista che avea lavorato il più gran
monumento in Lombardia, cioè l’arca di S. Agostino, scrisse forse per orgoglio il nome dello scultore; è Bonino da Campione, nome che vediam pure ricordato fra i primi consultati pel piano della cattedrale di Milano. Lo stesso Cicognara con una lettera che pubblicò da poi e riprodotta nella seconda edizione di quella mia memoria, acconsente a queste induzioni, e si ricrede dalla sua prima opinione. Quindi nel secolo decimo quarto, era in Milano una Scuola di scultura che forse si fondò col venire del Balduccio, ma crebbe e fece insigni monumenti in Lombardia, e in altre parli d’Italia. Se ne daranno talora i disegni e le storie nel Cosmorama. Intanto giovi avere pel primo offerto il più grande.

Chiusa la basilica di S.Pietro in Ciel d’oro l’Arca fu levata e scomposta: giacque per molti anni negletta; ora venne innalzata nella cattedrale di Pavia: gratitudine a chi ebbe pensiero tanto amico delle arti, ma l’architetto dimenticando che il cenotafio in origine era in terra, lo pose quasi a tabernacolo sopra un altare: quindi non dà l’effetto per cui fu creato, quindi tutta la parte più bella del santuario ove giace la statua del Santo è fuori di veduta. Però gli errori d’un Artista non debbono togliere al merito de’ Pavesi di avere di nuovo innalzato il monumento, poichè almeno ricomposto, è restituito allo studio ed all’onore delle arti italiane.

Defendente Sacchi




NUOVA METEORA.

Nel N. 30 del Cosmorama riferimmo le precipue opinioni dei fisici intorno ai bolidi, ad illustrazione della meteora apparsa nel 17 luglio 1835. Ora raccogliamo da una lettera pervenutaci, che nel 19 agosto 1835 una nuova meteora apparve nella terra di Misano, villaggio situato nella provincia di Bergamo, fra Caravaggio e Treviglio; ed eccone i suoi fenomeni.

Erano le ore otto e mezzo pomeridiane: il cielo era sereno, tranne due piccole nubi isolate, ed un nembo temporalesco verso Milano. Quand’ecco che un gran globo di fuoco si vede scendere da una di quelle due nubi, e giunto presso terra, investe di sua luce e delle sue faville cadenti una delle estremità della contrada massima che divide il villaggio di Misano. Cinque o sei persone che si trovavano in quella contrada furono gettate a terra: le altre rimaste in piedi, per difendersi dalle scintille si mise le mani sul capo ed una di queste colta da una di esse n’ebbe scottato un dito. Le scintille, appena cadute estinguevansi diffondendo un gran fumo ed un odore sulfureo. La meteora percorse, fischiando, quasi tutta la lunghezza della contrada, poi dato di volta, retrocedette, descrivendo una linea elittica stretta e prolungata. Giunta all’estremità del paese da cui aveva prese le mosse, diede in un grande scoppio, mandando un chiaror tale che pareva destasse un incendio, gettando a terra una donna ch’ebbe scottata una guancia e abbrustoliti i capegli, e sparve, frangendo la torre di un cammino, le imposte di una finestra, e fendendo le mura di una casa, senza formare alcuna pietra aereolitica. Nè prima nè dopo lo scoppio fu udito alcun fragore di tuono, non videsi alcun baleno, non annubilossi il cielo, non cadde una stilla di acqua. Il sereno dell’aere non fu turbato, e solo rimase per qualche tempo un densissimo fumo ed un odore nitroso sulfereo diffuso nell’atmosfera.