Pagina:Cuoco, Vincenzo – Platone in Italia, Vol. II, 1924 – BEIC 1793959.djvu/112

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canto (li Eraclito. Questo fa si che i due libri si paragonino; il paragone riscalda gli spiriti ; gli spiriti riscaldati corrono agli estremi; e si dice piú bene e piú male che non si dovrebbe... È tanto meglio per la fama di un poeta, a cui sono egualmente utili e le lodi e le censure, purché sieno smoderate/ Il dialogo di Aristippo pare scritto dalle stesse Grazie, ma non piú vergini e quasi diresti giá meretrici. Quando tu ne intraprendi la lettura, ti pare di ritrovarti in Citerá o in Idalia, dove i poeti metton la reggia di amore, e che un cortese giovinetto ti si presenti e ti si offra per guida a conoscer tutte le parti del grande edifizio. Non ve n’è una che sfugga alle sue osservazioni ; del piú picciolo bassorilievo, della piú minuta dentellatura della piú piccola foglia di una voluta, di tutto egli ti ragiona; di tutto ti sa dire il perché si trovi in quel sito, il perché vi si debba trovare, l’effetto che produce, l’effetto che produrrebbe messo in sito diverso; di tutto ti parla colla sapienza di un artefice, coll’entusiasmo di un dilettante, e con una ragione, con un’eleganza, con una persuasiva che spesso non hanno né il dilettante né l’artefice. Dopo averti fatto osservar tutto ed aver di tutto data la sua sentenza, pare che ti faccia rimarcare le numerose colonne che sostengono gl’immensi architravi sui quali posa l’edifizio intiero, e ti dica: — Queste colonne sono i sensi : la reggia di Amore è in aria, ma riposa su queste colonne. Tutto il dippiú, che in essa ammiri, è un ornamento: le sole colonne sono necessarie. Se l’architetto ve ne avesse messe troppo, avrebbe perduto tutto quel bello che è ne’ portici ed in quelle statue e quelle pitture, delle quali il vano dei portici è riempiuto ed adornato. Ma, se oggi un nuovo architetto volesse levar via tutte le colonne, l’edifizio rovinerebbe. — Tra Aristippo ed Eraclito panni che vi passi quella stessa differenza che vi è tra il buongustaio, il quale ama passar la notte sorbillando infiniti ma piccioli bicchieri di buon vino, ed il bevitore, che ne tracanna due o tre grandissimi ciotoloni, si ubbriaca e dorme. Il primo gusta tutt’i piaceri del bevere, i piaceri di questo mondo e di questi sensi; il secondo delira.