Pagina:Cuoco, Vincenzo – Platone in Italia, Vol. II, 1924 – BEIC 1793959.djvu/74

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moci di non dover un giorno pentirci, non di ciò che gli abbiam negato, ma di ciò che gli abbiamo concesso. Io ho temuto piú di te, o perché la natura istessa a noi donne, piú deboli, ha data per difesa una prudenza maggiore, o perché forsi io piú di te... Ma io non voglio farti arrossire de’ tuoi rimproveri: sebbene ingiusti, essi mi son troppo cari. Io ti ho visto la prima volta, e ti ho amato; sei ritornato da Locri, e ti ho temuto... Lo ripeto: un altro momento, e tu ancora saresti in Taranto. Diam lode ad Amore della nostra vittoria. Tu ti lagni della lontananza? Uomo di poco cuore, non ne conosci tu tutt’i piaceri? Io sento che, dal momento della tua partenza, alla tempesta, che prima agitava il mio cuore, è succeduta la calma. La tua immagine è risurta nell’anima mia. Io ti veggo, io ti seguo, io son sempre con te, ed ora ardisco dirti che io ti amo, senza arrossire e senza temere. Il mio cuore respira. Cosí l’agricoltore, se vede spuntare il sole sgombro da quei vapori e da quelle nuvole che presagiscono un giorno funesto e rendon cagione di palpiti la vista dell’essere piú bello dell’universo, ne segue col pensiero il corso, che deve misurare i suoi lavori e riportar l’ora del suo riposo... Ed il riposo del mio cuore sará con te, che sei da tre mesi la metá della mia vita.