Pagina:Cuoco, Vincenzo – Scritti vari- Periodo napoletano, 1924 – BEIC 1796200.djvu/265

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XXVI. — Principi della civilizzazione de’ selvaggi d’Italia , di Francesco de Attellis, marchese di Sant’Angelo, Napoli, 1805-7 (nn. 60, 63, 215, 219; 31 decembre 1806, 7 gennaio e 27 decembre 1807, 6 gennaio 1808). € Nessuna altra nazione ci offre un corso di storia tanto lungamente continuato quanto la greca e l’italiana; nessuna ci offre gli avvenimenti tanto ben connessi tra loro, onde piú facilmente se ne conoscano i vicendevoli rapporti; nessuna ci offre esempi di vizi e di virtú, di viltá e di valore, di debolezza e di potenza tanto grandi: talché gli stessi avvenimenti, letti nelle altre istorie e poi in quella di Roma, rassomigliano agli insetti, delli quali, osservandoli ad occhio nudo, noi non distinguiamo nessuna parte: osservandoli poscia col microscopio, tutte le parti vediamo distintamente, le analizziamo e quasi ne conosciamo la natura. Ecco la ragione per la quale il gran Vico (quell’uomo del quale possiatn dire che 1 non viget quidquam simile aut secundum ’) ha presa la storia di Roma come per esempio sperimentale di quella storia eterna del genere umano, che egli ha osato disegnare». Sennonché noi «ammiriamo Roma gigante e non la sappiamo bambina»; anzi dimentichiamo che Roma, come dice appunto il Vico, era ancor bambina o barbara quando altri popoli italiani avevan secoli di civiltá. Da che una concezione dell’antica storia italiana affatto erronea. Gran luce su di essa getta l’opera del De Attellis, proemio a un piú ampio lavoro sulla storia dei sanniti, al quale attende da trent’anni. Per ora egli fissa questi tre principi: 1. Le origini delle antichitá italiane non si debbon ripetere dai greci. — 2. Nell’esaminar criticamente le tradizioni relative a quei tempi antichissimi, non si deve tener conto di ciò che è evidentemente favoloso o tale che si ritrova presso tutti gli altri popoli (al qual proposito l’autore, applicando felicemente un altro principio vichiano, fa un parallelo tra le favole storiche romane e quelle greche). — 3. Poiché sarebbe follia ricercare i primi padri degl’italiani, occorre piuttosto volger l’indagine a coloro che pei primi dieder loro la civiltá, e che il De Attellis (seguendo l’ipotesi del Mazzocchi, del Martorelli e del Vargas Macciucca, ma ragionandola diversamente e adottando altra cronologia) rinviene nei fenici. — Vedere anche, piú giú, n. LXXXVI. XXVII. — La gloria letteraria . Invenzione del termometro (n. 64, io gennaio 1807). «Pare che la storia, conservando fedelmente la memoria delle cose, dovrebbe emendare le false opinioni degli uomini. Vana speranza! Chi scrive queste storie? I popoli elevati a molta grandezza o, simili ai romani, preferiscono, alla gloria di scrivere azioni degne di lode, quella di farle, o, se pure aman la gloria di scrivere, non vogliono scrivere che cose proprie e tratte da fonti propri». Al contrario, «i popoli caduti in bassa