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stenza invitta, quali dovevano essere quelle di Michelangelo su le impalcature della Sistina.

Egli ha la mano destra in tasca, mentre gestisce con l’altra, e non distoglie mai quella, quasi fosse impedita.

Mi stringono ora la medesima pietà e la medesima angoscia che mi assalirono quando seppi come da anni, fin dal principio della sua demenza, egli avesse nella mano nascosta un pezzo di cera rossa da modellare e ripetesse di continuo col pollice e l’indice il movimento che fa il modellatore per ammollirla e assottigliarla.

Percosso nella fronte, destituito della potenza di creare, egli non aveva conservato se non quell’atto istintivo, quel movimento plastico, quella consuetudine tecnica d’artiere celliniano, di fonditore a cera persa.

Ora è là, nell’inferno del mio occhio bendato, vivente d’una vita terribile.