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288 notturno

ansando d’un affanno aspro come il singulto.

«Non posso più stare qui. Non voglio. Aiutami, Cagni. Portami fuori. Salvami.»

Sgomento egli mi sostiene col suo braccio, mi regge il capo con una mano; cerca di persuadermi, di placarmi, di riadagiarmi nella mia miseria.

«Ti prego! Ti prego, amico mio, compagno mio! Non posso guarire. Non debbo guarire. Toglimi da questo supplizio inutile. Aiutami a liberarmi da questo inganno, da questa congiura. Salvami.»

Egli è sbigottito. Entra in lui la mia angoscia e lo confonde.

Brancolo. Riesco ad accendere la lampada azzurra a capo del letto. Vedo illividito dalla luce lùgubre il mio fratello della mia medesima età. Ed egli mi vede sbendato, con l’occhio gonfio e lacrimante, con quella faccia contraffatta che l’altro giorno