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notturno 305

ancóra il sangue dentro le unghie come l’avevo su i panni.

O Isola Morosina, tutta flava d’erbe e cèsia di stagni, eguale alla più chiara figliuola di San Marco, supina verso il vespero di ottobre, io ho lasciato in te il più profondo mistero della mia passione, ho lasciato in te il più segreto polso della mia musica.

Invidio l’umile eroe ventenne della mia stirpe che ha pace in te sotto la sua piccola croce di legno grezzo. Egli forse non ode; ma, se io fossi coricato in quel tumulo di terra fresca che gli feci con la zappa del becchino senza nome, certo udrei perpetuarsi nella mia eternità la melodia dorata dei tuoi pioppi.

C’era un angelo che li numerava? e c’era un angelo che li temperava? e c’era un angelo che li concordava?

Tutt’e tre avevano pel mio amore il volto del moribondo sorridente.