Pagina:Da Ponte, Lorenzo – Memorie, Vol. I, 1918 – BEIC 1797111.djvu/239

Da Wikisource.

— Ed io sono fiorentina.

— Due bei paesi.

— I piú belli di tutta l’Italia. Io sono stata molte volte a Venezia È bella. Ma Firenze! Ci vuol altro per agguagliare Firenze! Vi è stata lei a Firenze?

— Signora no ; non ci sono mai stato.

— Vedrá, vedrá che paradiso! Le donne poi!... Son tanti angioletti. Le piacciono le belle donne?

— Quanto è permesso a un uomo della mia etá, che ha giá una moglie.

— Lei ha una moglie?

— Si, ho una moglie; ed è quella che vide alla porta del mio albergo, dove montammo in carrozza.

— Quella giovine? Quella, sua moglie?

— Quella, mia moglie!

— Mi perdoni, ma io l’ho creduta sua figlia. Bravo! È di buon gusto. Ma è sua moglie veramente?

— Come! V’hanno delle mogli veramente e dell’altre mogli non veramente?

— Oh ! avrebbe potuto essere la sua dama, ed Ella il suo cavalier servente.

— Scusi, madama. Mia moglie non è italiana, ma nacque in Inghilterra.

— Non hanno serventi le inglesi?

— No, non hanno serventi.

— Quanto le compiango !

— Per qual ragione?

— Perché un cavalier servente è la piú dolce bestia del mondo.

— Mi par che un marito, che soffralo, è una bestia molto piú dolce. È maritata, signora?

Lo fui, ma, grazie al cielo, noi sono piú. La morte me ne ha liberata in sei mesi.

— Una donna del suo merito troverá presto un altro marito.

— Io, un altro marito? Signore, questa è una pillola che si può inghiottir una volta, ma non due, da una femina ch’abbia un’oncia di cervello.