Pagina:Da Ponte, Lorenzo – Memorie, Vol. II, 1918 – BEIC 1797684.djvu/200

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Onde questo orticel, eh’è tutto mio, e dove Flora a coltivar mi diede piante care a Minerva e al biondo dio, mal soffrirò che col profano piede Ciacco vile lo calchi, o sozzo augello sfrondi i.nobili rami o i fior deprede. Con tanta gelosia sposo novello non tiene a serbo tenera consorte, con quanta ognor terrò questo orticello. E, se benedirei Giove e la sorte che qui giungesse dall’italo cielo, pria che giunga per me l’ora di morte, tal che vincesse me, se non in zelo, in saper vero, in sopportar fatica (pregio che perde l’uom cangiando il pelo) ; giusto è cosí ch’io biasmi e maledica chi vende per li fichi i lazzi sorbi, e sterpa i.gigli miei per porvi ortica. E duoimi che tra noi vi sien molti orbi, che fan come le mosche : al pero guasto corrono dietro, ancor che l’aria ammorbi. Né per parlar né per gridar io basto a far si che la bestia si conosca, ché sotto la gualdrappa asconde il basto. Questo sovente mie dolcezze attosca, questo non lascia maturare il frutto, ch’inaffiai di mia man con onda tosca. Ma talor chi piú sa non può dir tutto, nemmeno il ver; e questo è il caso mio. E, giá che a tal m’ha il diavolo condutto, «intendami chi può, che m’intend’io.» Non si fermò in questi versi l’effetto di questa lettera; ma m’incoraggiò per si fatto modo, che osai pregarlo di procacciarmi un libraio editore a Firenze, che mi somministrasse di tempo in tempo i libri che mi occorrevano. Si prestò egli cortesemente alla mia richiesta, e mi spedi, pochi mesi dopo, una collezione di buoni autori, senza poter ottenermi però da certo libraio anonimo que’ ribassi e vantaggi, ch’ogni venditore di