Pagina:Daniele Cortis (Fogazzaro).djvu/267

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alla camera 257


chi l’aveva toccato e crollar la testa in segno di diniego; poi guardar un momento verso la tribuna, senza mostrar di conoscervi alcuno, e discender lentamente all’attitudine di prima. E quell’altro non gli parlava più, non lo portava subito fuori della Camera! T. era intento al discorso del ministro, non guardava mai la tribuna. Elena fu per scendere all’ufficio di via della Missione e far chiamare Cortis. Ma no: se stava meditando il suo discorso, non sarebbe una chiamata opportuna. Potrebbe far venire T., invece? Intanto il ministro finì il suo discorso fra i bravo e gli applausi. I deputati d’ogni parte s’affollavano intorno a lui. Anche nelle tribune molta gente si moveva per uscire.

«Cara te» disse la contessa Tarquinia, «non si va proprio via, dunque?

Elena non rispose; forse non udì neppure. Teneva la persona eretta, le mani sul parapetto della tribuna, aspettando, senza quasi respirare, che il presidente desse le parole a Cortis.

«Adesso l’aula si vuoterà» disse il signore pratico. Invece gli onorevoli deputati ripresero, quasi tutti, i loro posti.

«L’onorevole Cortis» disse il presidente «ha la parola.

Gli occhi di Elena salirono involontariamente all’orologio che aveva di fronte. Segnava le tre e cinquantacinque.

Cortis si alzò. Da ogni lato della Camera, tranne dal centro, tutti guardarono a lui in diverse attitudini, da quella di una viva curiosità a quella di una sprezzante noncuranza, di un anticipato giudizio.

Al centro, dove certe mediocrità boriose avevano