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come gli astri e le palme 381

poli celesti delle glicine tremanti al vento nell’ombra pura del mattino; e lassù verso il cielo le rupi del Corno Ducale tutte infocate dal sole. Anche i denti grigi del Rumano e tutta la lunga costa del Passo Piccolo in faccia alla loggia aveva il sole. Cortis sedette lì sul canapè rustico di fianco all’entrata della sala, aspettando.

Suonavano le sei a Villascura quando Elena, tutta chiusa in uno scialletto nero, apparve sulla porta. Cortis si alzò. Si strinsero la mano, gravi, a lungo, senz’altro saluto. Ella era pallida, ma aveva un viso più quieto, degli occhi meno torbidi che la sera precedente. Cortis le disse in francese che lì non potevano stare; il domestico passava ogni momento, in sala, davanti alla porta. S’incamminarono verso il porticato. Una vecchia, ferma sull’entrata della stalla, li salutò; anche laggiù agli abeti si vedeva gente. Svoltarono fuori del portone, a sinistra, per la strada che scende a Passo di Rovese. Lì non c’era anima viva. Adesso Elena tremava, non osava neppur guardare l’amico suo che era per parlarle, finalmente. Rallentò il passo.

«Passiamo il Rovese?» diss’egli piano, rispondendo, quasi, all’atto di lei. «La saremo più liberi.

Elena assentì del capo, gli chiese muta il braccio, vi si appoggiò, lo serrò forte, stringendo le labbra, guardando diritto davanti a sè.

«Addio» sussurrò Cortis. Ella gli serrò ancora il braccio.

«Penso così anch’io, sai» gli disse.

«Come, cara?

Elena fece ancora qualche passo e rispose:

«Come te.