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hyeme et aestate 393


«Dio mi aiuta» pensò Elena.

La contessa Tarquinia si fermò a chiacchierare allo sportello fino al ritorno di Clenezzi.

«Son qua» disse questi, affrettandosi. «Il conte mi ha ordinato di dire a donna Elena ch’è in collera perchè ha voluto partir oggi e così per tempo. E anche se non tornerà domani a pranzo, non gliene importa niente, dice.

«E come sta?» chiese la contessa.

«M’ha detto «da cane» ma mi pare che stia meglio di ieri.

Intanto il senatore s’era venuto accomodando a fianco d’Elena; borse, ombrelli, mantelli e scialli erano a posto.

«Contessa» disse Clenezzi, «mi saluti anche don Bortolo:


Se cerca, se dice:
L’amico dov’è?
L’amico infelice,
Rispondi, partì.


«Morì» corresse la contessa, spensieratamente. «Avanti!

«È la stessa cosa, contessa, quando si parte da casa Sua!» replicò il senatore spenzolandosi fuori dello sportello mentre la carrozza partiva.

Nè l’uno nè l’altra avean badato al pallore d’Elena, all’angoscia che le si leggeva in viso. Dio l’aiutava davvero.

Ella chiuse gli occhi senz’averne coscienza. Clenezzi cominciò subito a parlar dei giorni deliziosi che aveva passati, di tante belle cose vedute, di tante gentilezze usategli.