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pensarvi nemmeno, e scappò via. La contessa suonò il campanello di furia, la fece richiamare. Non sapeva ancora per dove partissero, se per Roma, se per Aix. Allora Elena si accorse di non saperlo ella stessa. Suo marito non lo aveva detto, ella non gliel’aveva chiesto. Per Roma, certo, perchè era giunto un telegramma, e Di Santa Giulia si attendeva appunto da qualche giorno un richiamo al Senato.

La contessa Tarquinia avrebbe desiderato una certezza maggiore, ma Elena corse via e andò dritta dallo zio Lao, che, alzatosi un momento per guardare il tempo, s’era coricato da capo. Quando Elena, entrando in cappello e guanti, gli disse a bruciapelo: «vado via,» credette che partisse subito, balzò a sedere sul letto. L’indugio di dodici ore gli parve sulle prime un guadagno: c’era il tempo da discutere, almeno. Assalì sua nipote con una furia di domande. Non si potrebbe far questo? Non si potrebbe far quello? Il signor barone non potrebbe andarsene solo, nel santo nome di Dio! a Roma e anche più in là? Non arrivò sino a proporre ad Elena di accompagnargliela più tardi egli stesso, ma parlò del fattore, di quell’insulso Malcanton, che non era buono ad altro, e toccherebbe il cielo col dito. Visto che non c’era verso di spuntarla, s’arrabbiò, si ricacciò sotto le coperte, e, voltato il viso al muro, gridò a sua nipote che andasse via, che andasse pur subito a farsi benedire, che non gliene importava nientissimo, che andasse a Roma o in Sicilia o in Africa o dove diavolo voleva lei, e che non stesse a tornare per un gran pezzo.

Elena, commossa, si accostò in silenzio al letto, vi si piegò su; anche la faccia mezzo nascosta fra il guanciale e le coltri era commossa.