Pagina:De Amicis - La vita militare.djvu/11

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una marcia d'estate 3

chio non può precorrere il cammino e confortarsi sui tetti di qualche lontano villaggio, sul campanile di una chiesuola, su qualcosa che dia indizio di abitazione e prometta una fermata, un po’ di riposo, un po’ di respiro... un momento di vita. Dio mio, che strada! Non si vede cento passi innanzi. Coraggio, via; ancora cinque minuti, e saremo alla voltata. Chi sa che, svoltando, non ci apparisca, lontano lontano, un paesello o un folto d’alberi, dove ci facciano fermare! La speranza rinvigorisce le forze; si studia il passo; siamo alla voltata; si corre per mettersi presto sulla nuova direzione, si allunga il collo, si spinge innanzi avidamente lo sguardo... Case? Alberi? Villaggi? Fermate? Niente! Strada, strada, e sempre strada. Oh disperazione! I menti ripiombano sui petti, gli occhi ricadono a terra, le schiene si ricurvano sotto gli zaini; le file, dalla momentanea pressa ristrette, si riaprono; la coda segna il passo; il comandante del primo pelottone è già alla testa del secondo, il comandante del secondo è già alla testa della compagnia che vien dietro; il capitano... dove sarà il capitano?

I canti che si udivano due ore fa son già calati di due note. Si canta perchè s’è cominciato a cantare; forse non si ricomincerebbe più. Il dialogo è stentato; gli scherzi non hanno più sale. Ah! si vede che il reggimento è in marcia da quattro ore.

E si va, e si va, e si va. I volti arsi dal sole, grondanti sudore, neri, contratti, trasfigurati; il respiro affannoso; le labbra pendenti; la lingua grossa; le mani gonfie, pesanti; le piante indolenzite; in tutta la persona una cascaggine, un abbandono; gli zaini vengon giù sulle reni, le giberne sulle natiche, i cappotti su per la schiena raggrinzati e fradici; le cravatte sciolte; i cheppì spinti all’indietro fin sulla nuca o colla tesa calata sul