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322 l’esercito italiano

dare il tumulto colla doppia arme della minaccia e della carità. Dei soldati, in quel paese, non si sospettava, non solo, ma v’eran ben veduti, e fors’anco amati per le elemosine e i soccorsi d’ogni maniera di che erano stati sempre larghi con tutti; e però, al loro apparire, la folla ristette dalle violenze, e a poco a poco si tranquillò. Una parte dei soldati entrò nella casa e vi si pose a guardia; gli altri stettero guardando quei poveri affamati che divoravano il loro tozzo di pane in silenzio. — Oh quanti ne seguirono di cotesti fatti, e quante volte si ripeterono negli stessi paesi!


Ma la fatica più dura e l’ufficio che naturalmente più repugnava ai soldati era quello di seppellire i morti; per cui bisognava che s’armassero più che mai di coraggio e di fortezza. Spesse volte, nel cuor della notte, capitava alla caserma un messo del municipio a dire che in un tal punto, in una tal casa del paese s’erano scoperti dei cadaveri che nessuno voleva seppellire e che bisognava provvedervi prontamente, prima che la putrefazione rendesse impossibile la sepoltura. Un rullo fragoroso di tamburo destava in un istante tutto il corpo, si radunava un drappello di soldati, si accendevano le lanterne, si tiravano fuori i carri, si pigliavan le zappe e i badili, l’ufficiale di picchetto si metteva alla testa del convoglio, e via. Si giungeva silenziosamente al luogo indicato; le vie erano solitarie, le case abbandonate e chiuse. Dopo lunga fatica le porte scassinate rovinavano, e un alito d’insopportabile fetore ributtava indietro i soldati. Coraggio; uno innanzi colla lanterna; gli altri dietro a passo lento colla mano sulla bocca girando peritosamente lo sguardo per la squallida stanza. Distesi in terra su giacigli di paglia o di cenci, seminudi o mal ravvolti in un immondo stracciume, giace-