Pagina:De Amicis - La vita militare.djvu/462

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454 il più bel giorno della vita.

regalare al ragazzo una cravatta vecchia da bersagliere, di quelle azzurre, che io non so perchè avevo rotondata colle forbici ai due capi. Due giorni dopo ti vedo l’amico della ragazza con quella cravatta al collo. Lo guardo ben bene nel viso, confronto le due fisonomie, e mi pare che lui e il ragazzino si somiglino, e mi viene il sospetto che siano fratelli. L’indomani tiro in disparte il ragazzo, e gli domando: — Di’ un po’, lo mangi tutto tu codesto pane, o ne dai anche a tuo fratello? — Ne do a mia sorella, mi rispose. — Hai anche una sorella? — Una sorella e un fratello. — E che cosa fa tua sorella? — La sarta. — E tuo fratello? — Pensò un momento e poi rispose: — Niente. — È lui, pensai. E infatti, continuando a interrogarlo, mi accertai di tutto. Seppi che la ragazza si chiamava Luisa, ed era sui diciassett’anni; che non aveano più padre nè madre nè altri parenti da quasi due anni; che lei, povera giovane, lavorava dì e notte per vivere e per dare qualche soldo a suo fratello, il quale andava poi a spenderli all’osteria, e tornava a casa ubriaco, e la maltrattava, e la faceva piangere. — Tante volte, mi disse fra le altre cose il ragazzo, egli torna a casa alle due o alle tre dopo mezzanotte, e mia sorella lavora ancora; e poi conduce con sè i suoi compagni, e tutti insieme si mettono a cantare e a ballare, e allora essa esce di casa e resta addormentata sugli scalini col suo lavoro in mano. — Se non mi venne da piangere lì in presenza sua fu perchè feci un gran sforzo; ma non ho potuto tenermi quando fui solo. Da quel giorno diedi al ragazzo tutto il mio pane, risparmiai tutti que’ pochi soldi che ho potuto e gli diedi anche quelli; mi parve quasi che fosse un mio dovere; non mettevo più soltanto il cuore in codesti sacrifizi, ma anche la coscienza, e mi sentivo il coraggio di tirare avanti così eternamente, tanta era la tenerezza e la compassione che mi faceva