Pagina:De Amicis - Ricordi del 1870-71.djvu/175

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ai coscritti. 161

cacciando il mento sotto il mantello, più contento di sentirsi al caldo dopo aver visto qualcuno che batte i denti. Quell’altro là guarda i coscritti colla stessa aria di curiosità con cui si guardano i condannati condotti al palco. Questo giovanotto che ti sta accanto ha esclamato: — Oh che vita! — Quello lì che hai davanti ha brontolato: — Oh poveri disgraziati! — E tutti gli altri, guardali bene, chi più chi meno hanno la testa chinata da un lato, e il viso atteggiato a quella egoistica pietà che si compiace nel confronto dei dolori altrui colla quiete e col benessere proprio; quella pietà bugiarda e poltrona, che pronuncia la parola trista colla voce allegra, e deplora senza amare; pietà che oscilla fra la compassione e lo scherno, senza la sincerità dell’uno e la sfacciataggine dell’altro; pietà più oltraggiosa del disprezzo. Perchè ciò?”

“Perchè tutta questa gente non capisce il soldato,” mi rispose l’amico; “perchè vedendo passare codesto drappello di coscritti, la maggior parte non considerano altro che la privazione del teatro, della passeggiata e della bettola, e non vanno colla mente più in là della caserma dove ci si diverte poco e si dorme a disagio. Nessuno di costoro, io credo, scorge nel fatto stesso di questa privazione, nel contrasto di questi giovani che cominciano ora una vita di abnegazione e di stento, con tutta l’altra gente che ne comincia una di allegrezza e di festa, nessuno vi scorge l’idea grande e generosa che v’è significata e posta in atto, e che deve impedire la pietà suscitando l’ammirazione. Quando nel soldato non si vede più che una persona gravata di molte fatiche e priva di molti divertimenti, quando non lo si capisce più che come individuo, vuol dire che non lo si capisce più affatto.”

Gli domandai se credeva che fossero molti quelli che non lo capivano più.

“La maggior parte,” egli mi rispose. “Nel nostro paese, siamo oramai pervenuti a quei giorni pronosticati