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l’inaugurazione della galleria delle alpi. 199

lumi e sentito che si respira liberamente e si corre con impeto facile e sicuro, il cuore si queta, la mente si espande in una maestosa idea di grandezza e di forza, e l’anima abbraccia tutto, con un palpito di meraviglia e di gratitudine, questo portento eterno del genio e del lavoro.

Quanti pensieri, quanti sensi nuovi e profondi ci assalgono confusamente in quel punto! Dodici anni di lavoro! Noi vi passiamo, finalmente, su questo terreno bagnato di tanti sudori! È questo il luogo dove per tanti anni gli uomini insigni che condussero a fine la grande impresa, studiarono, lavorarono, lottarono, ora oppressi da un dubbio doloroso, ora rianimati da una speranza possente, ora felici di una certezza lungamente sospirata! Si sentono in quel cupo strepito precipitoso del treno mille rumori che parlano all’anima: i colpi fitti, fulminei, rabbiosi della perforatrice che divora la roccia, il sibilo confuso delle cento ruote, lo scoppio tonante delle mine, la tempesta delle scheggie sulle pareti, sulle macchine, sugli assiti, il comando dei soprastanti, le grida, le risa degli operai, il suono vario e continuo dell’opera, l’eco di tutta quella vita sotterranea che si agitò per tanti anni nei vergini recessi del monte senza sorriso di sole, senz’alito d’aria salubre, senza altro spettacolo che sè stessa e la rupe, solitaria, misteriosa, solenne! E quante vittime nella lotta! E come le loro immagini si presentano alla mente nell’atto di dire: — Io pure lavorai e soffersi! Ricordate me pure! — Sono operai macilenti e pallidi che hanno speso gli anni più belli della vita nel laborioso cammino attraverso delle Alpi; sono vecchi che hanno perduto la luce degli occhi; sono giovani a cui le macchine e le mine hanno portato via le braccia e spezzata la testa! E in mezzo a questa folla d’invalidi, di mutilati e di morti che par che risollevino il capo per domandarvi la loro parte di affetto e di gloria, si alza la figura bella e venerabile del Sommeiller, a cui