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razioni: o la religione o la patria, o entrambe; e che però lasciarono un’orma propria e durevole nel campo dell’arte; e una schiera di giovani che vengono innanzi a tentoni, domandando che cosa hanno da fare, piuttosto che facendo davvero; ondeggianti tra la fede e il dubbio, o aventi la fede senza il coraggio, o non avendola, indotti dall’uso a simularla; malsicuri anch’essi della propria lingua, e titubanti fra le Accademie che gridano: — Purezza! — e il popolo che grida: — Verità!; incerti tra la legge della tradizione e il bisogno del momento; lasciáti in un canto dai mille che danno la fama o vituperati dai pochi che la suggellano; costretti a pensare in un modo e a scrivere in un altro, a non esprimersi interi, a lasciarsi sfuggire il presente per non si staccare dal passato, a barcamenarsi alla meglio fra opposte difficoltà. Gran ventura poter far surnuotare, per qualche anno, il proprio nome al torrente di libri francesi onde il paese è allagato! Dal che nasce lo sconforto prima nelle proprie forze e poi nel genio nazionale; e di qui o l’imitazione che mantiene nella mediocrità, o l’abbandono della letteratura dai larghi studi e dalle larghe speranze, per il facile e proficuo scribacchiar nei giornali. Unico, fra le tante rovine, riman ritto il teatro. La nuova letteratura drammatica non ha più dell’antica nè l’invenzione meravigliosa, nè la forma splendida, nè quell’impronta originale di nobiltà e di grandezza, che era propria d’un popolo dominatore dell’Europa e del Nuovo Mondo; e meno ancora la