Pagina:De Amicis - Spagna, Barbera, Firenze, 1873.djvu/275

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toledo. 269


arabe, dove i genii benefici accumulano tutte le ricchezze sognate dall'ardente fantasia dei Sultani innamorati.

Era la vigilia del Corpus Domini, e nella sacrestia si preparavano le robe per la processione. Nulla di più sgradevole, e di più sconveniente alla queta e nobile maestà della chiesa, che quell'affaccendamento da teatro che vi si vede in quelle occasioni. Par proprio di essere dietro le quinte d'un palco scenico la sera d'una prova generale. Dall'una all'altra sala della sacrestia andavano e venivano con grande strepito monelli scamiciati, portando gran bracciate di camici, di stole e di piviali; qui un sacrestano di cattivo umore apriva e sbatteva imposte d'armadi; là un prete tutto rosso in viso chiamava con voce stizzosa un chierico che non sentiva; altri preti attraversavano la sala di corsa, coi paramenti metà indossati, metà strascicanti; chi rideva, chi strillava, chi parlava da una stanza all'altra ad alta voce; per tutto si sentiva un fruscìo di sottane, un respirare affannoso, un pestìo, un tramenìo da non dirsi.

Andai a vedere il claustro; ma poichè era aperta la porta della chiesa per la quale ci si va, lo vidi prima d'entrarvi. D'in mezzo alla chiesa si scorge una parte del giardino del claustro, un gruppo di grandi alberi frondosi, un boschetto, un mucchio di rigogliosa verzura che par che chiuda la porta, e si mostra come inquadrato sotto un arco elegante e in mezzo a due svelte colonne del portico che ricorre