Pagina:De Marchi - Il cappello del prete, 1918.djvu/106

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— Questo non è rubare, — diceva la coscienza, mentre il funerale si avviava al camposanto, — perchè non si ruba nulla ad un povero morto, prendendogli il cappello. Laggiù, sotto la terra, non c’è pericolo di pigliare un colpo di sole. E poi io devo ben pagarmi in qualche modo di questo funerale. Salvatore non lascia indietro che il suo cane, e se aspetto che paghi per lui quel vecchio libertino del suo padrone, sto fresco. Resta a vedersi, — mormorava la coscienza incontentabile e schizzinosa, — resta a vedersi se il cappello era proprietà di Salvatore o non si trovasse per caso nella cameretta, o se egli l’avesse ricevuto in consegna. D’altra parte io lascio in luogo del nuovo il mio usato, e quando il padrone del primo si sarà accorto del cambio, potrà venire alla canonica a reclamare.

Acquietata la coscienza in questo pensiero, ne parlò la stessa sera a Martino, l’ex-cappuccino, che era fine nel risolvere i casi di coscienza: e anche costui trovò naturale che don Antonio usasse di un cappello che in fondo era di nessuno. Per togliersi tuttavia anche le ultime pagliuzze dalla coscienza, il prete non lesinò sui suffragi e recitò una messa da morto indirizzata tutta a sollievo della povera anima di Salvatore.

E si tenne il cappello.

Salvatore era morto senza poter dire come questo si trovasse nella sua stanza.

Avrebbe potuto dirlo il suo cane, che, andan-