Pagina:De Roberto - Al rombo del cannone, Milano, Treves, 1919.djvu/33

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maria carolina di napoli 21


mi farebbe la minima pena.... Ve ne prego, in nome del Re e mio: se mai gli Austriaci o i Russi scendessero dalla parte di Roma a Napoli, niente accordo, niente convenzione, niente tregua, niente perdono....» E queste, ora, non sono più sole parole: queste espressioni della ferocia, sì, ricevono piena conferma dagli atti, quando la capitolazione dei Repubblicani, offerta e sottoscritta dal luogotenente del Re, firmata e garantita dai rappresentanti di tre grandi potenze europee, sarà da lei lacerata e la «scellerata Repubblica tricolore» andrà per suo ordine sommersa nel sangue....

Ma ella non crede d’aver commesso nulla di male; se mai, soffre «mortalmente» delle violenze e della severità: il suo cuore «ne geme». Prima ancora di lordarsi le mani, dichiara preferibile «esser vittima, piuttosto che farne»; dopo l’immane tragedia, continua a protestare che la sua «morale» le consiglia di anteporre «l’esser vittima allo scatenare un flagello», e che sarebbe farle gran torto giudicarla «arrabbiata energumena». Non crede possibile la salvezza, ha detto, se non «con la forca e il carnefice a fianco e le orecchie turate, col cuore indurito e le leggi stracciate»; e quando ha eseguito puntualmente il programma, vanta la propria «purezza», esalta la propria «bontà», si duole che «la bontà non è la virtù occorrente alla conservazione dei troni», benedice