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la filosofia di un poeta 113

rale? Questa difesa gelosa, questo culto della propria vita non potrebbe, non deve, legittimare il peggiore, il più feroce egoismo? La sua intenzione era quella di cercare un temperamento; ma è caduto in una contraddizione.

Bisogna, ha detto, che la vita del pensiero e dei sentimenti sia quanto più ardente è possibile. Poichè questo precetto potrebbe incoraggiare l’orgoglio, la superbia, l’egoismo e il concetto di una grande diversità fra gli uomini, egli soggiunge che tra chi pensa e chi non pensa «c’è un fosso, non un abisso»; e che «pensare è spesso ingannarsi», e che «un mondo dove non vi fossero altro che pensatori, perderebbe forse la nozione di più d’una verità indispensabile». Ed ecco come dal Nietzsche egli torna al Tolstoi.

Certo egli è, in fondo, più col Tolstoi che non col Nietzsche. Del filosofo russo condivide l’idea che non bisogna punire il malvagio. Chi fa il male, dice, cerca a modo suo la felicità. «Perchè punirlo? Non possiamo prendercela col povero diavolo perchè non abita un palazzo: è già abbastanza disgraziato vivendo in una catapecchia». Egli afferma che «noi abbiamo torto di cercare una giustizia esteriore, visto che non ce n’è.... Perchè cercare la giustizia dove non può essere? Esiste ella altrove fuorchè nell’a-