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216 il genio e l’ingegno

tutta quanta da ciechi un solo veggente chiederebbe invano che si illuminassero di sera le vie. Ora, se le strade sono illuminate in tutte le città del mondo, ciò accade perchè la gente non è cieca; e se gli artisti che il Nordau tratta con tanta irriverenza sono apprezzati ed amati, ciò accade precisamente perchè la gente è capace d’intenderli. Essi non ci sono già piovuti dalla luna; escono anzi dalle vive viscere di questa nostra società dove non usa più portare alla cintura il cuoio capelluto dei nemici uccisi in guerra, ma si provano nuovi bisogni morali che chiedono urgentemente di essere appagati. E se lo stesso Nordau riconosce che soltanto per un ricordo dei tempi selvaggi e barbari si accorda anche oggi «il posto supremo al soldato», come poi vuole che Alessandro e Cesare e Bonaparte siano da chiamare genî più alti, più puri, più esclusivamente umani di Platone, di Dante, di Shakespeare? Non si potrebbe sostenere con fortuna precisamente l’opposto?

E la stessa idea di questa classificazione, di questa gerarchia, non è poco felice? Se il paragone non fosse, come dice il motto, odioso, non sarebbe inutile? Quando avremo dimostrato che Washington vale più di Vittor Hugo, forse non leggeremo più la Leggenda dei Secoli, o dovremo mettere la statua del suo autore sopra un pie-