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si ripaga con l’amore, l’odio con l’odio. Ciò sarà giusto, ma non è generoso. E coloro che egli combatte odiano veramente? Non soffrono anch’essi di dover ricorrere alla violenza?...»

Pareva così che la discordia fra l’istinto di ribellione del principe e la predicazione di pace della contessa avesse preceduto il disinganno sentimentale: ma nell’atto che riconosceva l’inutilità dei proprii sforzi non doveva ella sospettare che quell’uomo non era stato sincero assicurandole d’essersi per lei ricreduto? E un sospetto simile non doveva lederla, oltre che nelle sue credenze, nelle sue stesse speranze?

Ella non parlava del destino serbato all’amor suo. Faceva così perchè, più d’assicurare la felicità sua personale, le premeva di pacificare il ribelle? Od al contrario rivolgeva ella la sua attenzione al dissidio morale per distoglierla dalla più paurosa visione di un disinganno che le sarebbe riuscito ben altrimenti funesto? Se l’amore di quell’uomo era mentito, l’intima sanzione che la coscienza aveva dato a un legame fuor della legge non veniva a mancare? Per la cristiana, a cui la colpa era parsa, se non scusata, almeno attenuata dalla schiettezza dell’amore, dall’onestà degli intendimenti, dalla saldezza dell’impegno, l’improvvisa mancanza di queste condizioni non doveva implicare una condanna grave?

Il Ferpierre sentiva che questi pensieri avevano