Pagina:De Roberto - Spasimo.djvu/15

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il fatto 3

cuteva paura. Chiamato aiuto con rauche grida, egli stava ora in ginocchio presso alla salma, s’insanguinava nel brancicarla, e due sole parole brevi e monotone gli uscivano dalla bocca convulsa: «È finito! È finito!...» In quelle parole, nell’accento lacerato col quale le ripeteva, c’era uno smarrimento, uno strazio, una disperazione senza riparo; e non più la morta pareva tanto da compiangere quanto quel vivo implacabile, perduto dal dolore e quasi anch’egli insofferente di respirare. Infatti, quando le sue mani erano stanche di carezzare le mani, i capelli, la veste della esanime, egli se le portava alla gola con un gesto violento, come se volesse soffocarsi; e i servi, le persone accorse tentavano di confortarlo, di toglierlo dalla vista crudele; ma con impeto quasi selvaggio egli respingeva allora tutti da sè, stendendo le braccia, levandosi in piedi: aggiratosi malfermo, come ebro, per la camera mortuaria, tornava poi ad accasciarsi dinanzi al cadavere.

La villa restava aperta agli accorrenti, nessuno pensava di vietarne l’accesso. Dalla vicina Casa di salute era subito venuto il dottor Bérard; ma questi non aveva potuto far altro che accertare la morte fulminea. Come la notizia rapidamente si propagava fra la colonia degli stranieri, i curiosi, e specialmente quanti conoscevano la contessa ed il principe, sopravvenivano. Nessuno poteva avere qualche notizia dell’accaduto se non dai servi;