Pagina:De Roberto - Spasimo.djvu/76

Da Wikisource.
64 spasimo

dire, parlando del futuro, di disegni da compiere un giorno: «Se sarò ancora al mondo!...» Allora egli sostava, senza vedere più nulla, con gli occhi chiusi dal pianto; e il suo dolore era così acuto e ineffabile che diveniva quasi una mortale voluttà. Il pianto era stato la voluttà di quell’amore: di gioia, di speranza, di pietà, di paura, di dolore egli aveva pianto.

Così fortemente la prima vista di lei lo aveva percosso, che egli non aveva potuto tutta comprenderne la bellezza. Consisteva la sua maggior seduzione nella grazia languida e quasi vacillante della persona alta e tenue, o nella purezza dei lineamenti, del gracile viso, della fronte tersa come un’opera di scultura, cinta di chiome copiose nere e lucenti che le scendevano in due bande lungo le tempie e la rassomigliavano alle figurazioni della Vergine; o nella dolcezza dolorosa dello sguardo, nell’espressione profonda di un’anima ansiosa?

Per una più pacata contemplazione aveva egli compreso più tardi che tutte queste cose insieme formavano il molteplice incanto di lei; ma allora aveva anche visto che quella bellezza non era durabile. A giorni, a ore la magrezza delle guance pareva troppo grande; tutte le linee del viso s’alteravano come prossime a disfarsi; la carnagione, non più illuminata dalle fiamme interiori, era smorta; lo sguardo velato e quasi cieco. Ma queste improvvise oscurazioni che parevano lo scotto d’una