Pagina:De Sanctis, Francesco – Alessandro Manzoni, 1962 – BEIC 1798377.djvu/419

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nota 413

popolari voi vedete che anche nel popolo è forte l’idea che l’uomo deve fare i fatti suoi, e scansar tutti i contrasti, e cedere in quelli che non si possono scansare, come faceva Don Abbondio. Chi ha dunque la forza ha la ragione, perché la fa valere con essa; ma a poco a poco l’animo del prepotente si perverte in modo che prende l’aria di chi ha ragione veramente, siccome i re, che a forza di sentirsi dire che sono al di sopra degli altri uomini, se lo credono davvero. E vi ha d’più, che il debole che ha la ragione di rincontro al forte, che la fa valere con la forza, prende l’attitudine di chi ha torto, che anzi è nel caso di addurre scuse come se, con tutta la ragione, avesse commesso un delitto.

Ed ora vedete come Manzoni vi delinea in due parole l’animo di Don Abbondio.

I bravi incontrano Don Abbondio, ed uno di essi con tuono come se avesse ricevuto un torto dal povero curato gli dice: «Lei ha intenzione di maritar domani Renzo Tramaglino e Lucia Mondella!» E l’autore vi dà la parte plastica del bravo nelle parole «proseguí l’altro con l’atto minaccioso e iracondo di chi coglie un suo inferiore sull’intraprendere una ribalderia». E Don Abbondio timido,- avvezzo ad abbassarsi dinnanzi a’ signori ed a’ loro servi, se ne fa imporre, e con voce tremolante risponde: «Cioè, cioè...» In questa parola voi vedete tutto il comico di quel personaggio.

Ma queste sono larghe considerazioni, e nella ventura lezione vedremo quanta ricchezza di note sa cavare il Manzoni da questo motivo generale.

Lezione XIV. [Don Abbondio].— Avvertiamo che le citazioni dai Promessi Sposi contenute in questa lezione e nelle seguenti, e riferite dall’ignoto uditore dell’Era Novella secondo il testo del 1842, sono state da noi puntualmente ricondotte al testo del 1827, in conformità con le predilezioni manifestate dal De S. negli ultimi due saggi e nelle stesse lezioni raccolte dal Torraca. Laddove una parte della citazione risultava deformata rispetto a entrambe le edizioni, abbiamo ugualmente adoperato quella del ’27, data la minore attendibilità, rispetto alla trascrizione del Torraca, di quella dell’ignoto uditore, per cui non ci è parso il caso di dover far risalire quelle deformazioni allo stesso De S. (che del resto doveva avere il testo sott’occhio). Comunque ne diamo qui un elenco, avvertendo che indicheremo senz’altro con PS il testo del ’42, e naturalmente con la numerazione della nostra edizione il testo del ’27: p. 276 rr. 10-12: «Fanno i loro piastricci ecc. a riscuotere», PS: «Fanno i loro pasticci tra loro e poi... e poi, vengon da noi, come s’anderebbe a un banco a riscuotere», R: «Fanno i loro