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xiv. 1821-22 - due canzoni patriottiche 137

maschili di donna, di cui s’innamorò Alfieri. Là trova la donna spartana, la quale

Spandea le negre chiome
Sul corpo esangue e nudo
Quando e’ reddìa nel conservato scudo.

E là trova Virginia:

               .    .    .    a me s’appresti,
Dicea, la tomba anzi che l’empio letto
Del tiranno m’accoglia.

Ma il tipo nella contemplazione gli si raddolcisce, ed ecco venir fuori una Virginia non romana, ma umana, percossa dal coltello tra’ dolci sogni della giovinezza:

               Eri pur vaga, ed eri
Nella stagion ch’ai dolci sogni invita,
Quando il rozzo paterno acciar ti ruppe
Il bianchissimo petto.

Alfieri avrebbe chiamato eroico quel paterno acciaro; Leopardi lo chiama rozzo in mezzo a un ritmo divino, che dando evidenza alla percossa aggiunge allo strazio, perché in quel punto c’è in lui l’uomo più che il patriota, e vagheggia la trafitta con immaginazione d’artista. Un tratto simile non lo trovi in tutte le tragedie di Alfieri.

Questa canzone è tra le più elaborate. Indovini molte cancellature, e martellata quasi ogni frase. Versi dolcissimi e di fattura moderna rimangono naufraghi tra forme arcaiche e mitologiche, e costruzioni e vocaboli insoliti; e paiono splendori sotterranei che ti giungono in mezzo al buio:

E libertade avvampa
Gli obbliviosi petti; e nella doma
Terra il marte latino arduo s’accampa,
Dal buio polo ai torridi confini.
Cosí l’eterna Roma
In duri ozi sepolta
Femmineo fato avviva un’altra volta.