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la giovinezza 139

XXV

LA RETTORICA

In questo tempo feci lezioni sulla rettorica, o piuttosto sull’anti-rettorica. Dissi che la rettorica ha per base l’arte del ben pensare e perciò non può insegnarsi che ai già provetti nelle discipline filosofiche. Fu essa una invenzione e quasi un gioco dei Sofisti, i quali, separando le forme del dire dallo spirito che le avea generate, e nel quale sono vive e in atto, avevano fatto di quelle un morto repertorio. Di qui nacque l’indifferenza verso il contenuto, e il disprezzo della verità, trattando essi tutte le cause buone e cattive e lodando l’abilità e il talento del dicitore anzi che la sua scienza e la sincerità. Contro questa prostituzione si armò la collera di Socrate, che flagellò come violazione dell’umana coscienza questi lenocinii dell’arte. Le regole rettoriche non hanno la loro verità che nelle forme del pensiero, materia della logica. Ma come la rettorica non ti dà il ben dire, così neppure la logica ti dà il ben pensare, essendo le sue forme staccate da quel centro di vita che si chiama lo spirito. Non perciò le regole sono inutili; anzi sono buone a consultare, come si fa un dizionario di parole o di frasi o di rime. Anche un cinquecentista credette di poter insegnare a scrivere de omnibus rebus, elaborando un dizionario di tutti gli oggetti. Tutto questo è un materiale grezzo, che dee riempire la memoria e divenire come l’arsenale dello spirito; ma nell’atto dello scrivere, lo spirito dee mantenersi libero e guardare e ispirarsi nell’argomento, e guai a colui che cerca aiuto nei dizionari. Ricordavo il motto di Orazio, che lo scrittore dee per prima cosa studiare il suo argomento ed averne un’intera padronanza: la parola non manca a chi ha innanzi viva e schietta la cosa.

Lo studio delle cose richiede serietà e libertà d’intelletto: due qualità molto desiderate nei nostri scrittori. Serietà vuol dire che l’intelletto non si arresti alla superficie, ma scruti le cose nella loro intimità, perché la verità è nel pozzo, e là nel