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80 la giovinezza

libri, ma nascevano 11 vivi sulla lavagna, formati da me e dai giovani, ciascuno per la sua parte, con una collaborazione paziente. Così non lasciavo un momento d’ozio al loro cervello, e li tenevo piacevolmente avvinti alla lavagna, esercitando a un tempo i sensi, l’immaginazione e l’intelletto, e facilitando in loro i due grandi istrumenti della scienza, l’analisi e la sintesi. L’aria della scuola era mutata; quei giovinetti si pavoneggiavano e facevano la scuola agli altri, insegnando loro tante cose nuove; io poi solleticavo il loro amor proprio, lodando, incoraggiando. In pochi mesi mi sbrigai della grammatica, e capii che lo studio della grammatica così come si suol fare, per regole, per eccezioni e per casi singoli, è una bestialità piena di fastidio, si che metteva in furore i giovani, quando sentivano dire: — Ora veniamo alla grammatica — . Vedevo pure che la lettura li annoiava terribilmente, e faceva lo stesso effetto sopra di me, mi annoiava terribilmente. In quello studio di parole e di frasi non c’era sugo. Vidi che loro andavano appresso alle cose e non alle parole; e scelsi allora dei brani, nei quali la materia fosse interessante, spiegando loro il senso e il nesso delle idee, e le gradazioni più delicate del pensiero, incarnato nelle parole. Posi da banda le analisi grammaticali e l’analisi logica, noiosissime, e feci l’analisi delle cose, a loro gustosissima. Solevo scegliere i luoghi più acconci a lusingare l’immaginazione, a movere il cuore, saltando spesso i cancelli dell’«aureo Trecento», e andando giù giù sino a Manzoni. Olimpia e Bireno, Cloridano e Medoro, Eurialo e Niso, la presa di Troia, il pianto di Andromaca, la morte di Ettore, Egisto e Clitennestra, Ifigenia, Lucrezia e Virginia, Olindo e Sofronia, i giardini di Alcina e di Armida, la pazzia di Orlando, la morte di Rodomonte o di Argante, il giardino del Poliziano, il Mattino del Parini, il Saul, la Lucia, la Cecilia, l’Ermengarda erano letture favorite, che li facevano uscir di sé, ed io, stupito io stesso da queste novità, mi dicevo: «Meno male che il Marchese non ne sa nulla!» Io leggevo bene; la mia voce andava al cuore; quell’ora di lezione, già così lunga, passava con un: — È già finito? — E quei bravi ragazzi restavano scontenti, e domandavano in grazia una mezz’oretta di più, e gli