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2i8 frammenti letterari

poeta contro l’utilitario: il sentimento è il disprezzo che si manifesta sotto forma d’indignazione. Ma vengono poi le necessitá della vita, la poesia perde il suo terreno, il culto di quei santi principii resta ai pazzi, come dicono i seri, ed allora la poesia comincia ad abbassare di tuono. Se la poesia continuasse allora le sue invettive, il suono della sua tromba non troverebbe eco; l’ambiente comune entra nella coscienza stessa del poeta, che riflette l’immagine dei tempi. Egli cambia di forma e ricorre all’ironia, che dapprima è guerra a sangue e a coltello, la diciamo perciò feroce; poi diventa benigna ed è accompagnata da quel sorriso che non è del nemico, ma dell’amico. Questa è la forma del Prati, il quale non va a casaccio gittando frizzi, ma conserva l’istess’ordine e lo stesso significato dalla prima all’ultima sillaba. La forma dell’ironia del Prati mi sembra cosí nuova, che credo necessario chiamarla con parola nuova, epperò la dico bonomia. Questa ha luogo quando lo scrittore non vuole offendere, parla senza malizia, senza intenzione, l’usa senza saperlo, in guisa che nell’animo suo nemmeno lampeggi il pensiero di produrre quell’effetto che veramente produce. La bonomia, ch’è una facoltá spontanea, è insieme una delle facoltá piú diffícili a rinvenirsi.

Vi citerò come esempio di tale bonomia quel quadro di famiglia creato da Omero in mezzo alla battaglia, Ettore e Andromaca. Petrarca, Virgilio, Tasso, non hanno bonomia, perché hanno soverchia finezza ed eleganza: Dante e Leopardi non possono averne, perché nel loro cuore ci è soverchio di amarezza. Manzoni neppur egli ha la bonomia, perché ha troppa acutezza d’ingegno, e mentre fa il buon uomo, dalle sue parole scintilla sempre l’intenzione maliziosa. Il vero poeta della bonomia è l’Ariosto. I contemporanei lo dissero stravagante, i posteri andavano all’eccesso opposto, vollero trovare un fine in ogni parola dell’Orlando, dissero l’Ariosto precursore di Cervantes e pretesero che egli avesse inteso far la satira della Cavalleria. Non è vero, l’Ariosto in quella congerie immensa di fatti vede un giuoco dell’immaginazione, e ci vive e ci tripudia e ci si abbandona e ci sta entro in camicia tutto a suo agio. Egli ne parla