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guglielmo pepe 225

recitavano discorsi. Filippo Guidi insegnava matematica; Vincenzo Russo, il Catone di Napoli, e facondissimo dicitore, perorava in mezzo a’ giovani, e presso a morte lasciava loro in legato i suoi ammaestramenti. Vi è un legame segreto che unisce l’uomo d’ingegno a! giovani: egli si sente fruttificare in loro, e li ama e ne è amato. Pepe gli si affezionò; si strinsero in amicizia; lo chiamava il mio Russo; pendeva dal suo labbro; e la libertá, che era stata infino allora per lui un entusiasmo da scuola, cementata dal Russo, divenne, com’egli dicea, la sua amica, la sua amante. Quante volte, credendo giá di abbracciarla, gli è fuggita di mano, ma sorridendogli, invitandolo, appressandosegli, e poi fuggendo di nuovo! Pochi anni di poi veniva gettato nelle fosse del Marittimo, isola di Sicilia. Immaginate una cisterna incavata nel vivo sasso, che riceva un po’ di luce dalla sua bocca, ed insieme con la luce, pioggia e vento, larga appena sei piedi, con un materasso su cui giacciono cinque infelici, rubandosi a vicenda quel poco d’aria che nell’angusto spazio stagna: quivi fu seppellito vivo l’ardente giovane. Questi luoghi si chiamano in Napoli criminali: ce ne ha di varie specie: ciascuno ha la sua storia. Ciascuno, testimonio di dolori ignorati, tiene sulle sue mura qualche segno o ricordo d’illustri vittime, e quei segni riuniti sono sessant’anni di martirii, sessant’anni di storia, da Russo e Mario Pagano fino a Settembrini e Poerio, di una storia che oggi ancora si continua, solitaria, in mezzo alla crudele distrazione degli uomini. Lá Pepe compí gli studii interrotti dalle battaglie: ritemprò il suo animo; si apparecchiò seriamente a servire il suo paese.

La sua vita è stata una lunga conseguenza di questa educazione. Maestro di sé stesso, vivuto nei campi, nell’esilio, nelle carceri, nuovo degli ozii e delle ipocrisie sociali, tu lo vedi rivelarsi candidamente qual egli è, con una schiettezza, che il fratello Florestano chiamava imprudenza. In corte lo soprannominavano il selvaggio; in campo il tribuno. Il povero Pepe era un tribuno, perché solo osava dire a Gioacchino quello che tutti pensavano e gli nascondevano: una volta si attentò di dire al re che, se voleva salvo il paese e la sua dinastia, desse una costi-

F. de Sanctis, La poesia cavalleresca. i5