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DIOMEDE MARVASI


Qui pietosa cura di moglie e di amici ha raccolto quanto rimane di Diomede Marvasi, memoria piú durevole della tomba ove è conservato il suo corpo. Qui è conservato di lui quello che non può morire, la sua anima.

La prima volta io lo vidi nella mia scuola, e non lo dimenticai piú. Fu tra i pochi immortali nella mia memoria. Lo vidi accanto a De Meis, a Lavista, a Vertunni, a De Luca, a Villari, a Minichini. Lo chiamavano Diomede, ed era gioja, brio, luce, il piú simpatico a Lavista, il piú caro a De Meis, quegli che Vertunni amava piú. E il povero maestro quando non lo vedeva domandava subito: e Diomede?

Era un bel giovane, dai capelli ricciuti, dagli occhi incisivi, dai tratti mobilissimi. La sua vita di rado rimaneva al di dentro pensosa, e traboccava al di fuori, e si spandeva allegra, e si attirava e si assimilava tutto, contraffacendo e caricando. La sua fisonomia rifletteva tutte le impressioni, e accentuava le piú vivaci, secondata dai gesti, da’ lineamenti, dal moto delle labbra e degli occhi, ch’era una grazia. A quel tempo era in moda Leopardi, e un velo di malinconia e di tenerezza oscurava la fronte dei giovani si che ne’ lavori anche ottimi della scuola sentivi non so che sentimentale e artificiato. Veniva su una specie di forma convenzionale, con impressioni a freddo, vergini infelici, cristiani morenti, racconti sepolcrali, elogi funebri. La morte di mia madre, la morte di alcuni carissimi giovinetti dava a questa forma naturale nutrimento. Ma Diomede non se ne contentava, e cosí per cortesia si univa agli applausi, con un’alzatina di