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LA SCUOLA


Chiedo scusa a’ lettori dell’Antologia del mio lungo silenzio. Ma cosa farci? Il mio cervello è ora tutto scuola, e li dentro non ci cape che una cosa alla volta. Sicché risolvendomi pure a voler ricomparire innanzi a loro, sieno contenti che io gl’intrattenga un po’ della mia scuola: ché non saprei davvero parlar d’altro.

Una scuola non mi par cosa viva, se non a questo patto, che accanto all’insegnamento ci stia la parte educativa; una ginnastica intellettuale e morale, che stimoli e metta in moto tutte le forze latenti dello spirito. Il meno che un giovane possa domandare alla scuola è lo scibile, anzi lo scibile è lui che dee trovarlo e conquistarlo, se vuole sia davvero cosa sua. La scuola gli può dare gli ultimi risultati della scienza, e se non fosse che questo, in veritá una scuola è di troppo; tanto vale pigliarli in un libro quei risultati. Ciò che un giovane dee domandare alla scuola è di esser messo in grado che la scienza la cerchi e la trovi lui. Perciò la scuola è un laboratorio, dove tutti sieno compagni nel lavoro, maestro e discepoli, e il maestro non esponga solo e dimostri, ma cerchi e osservi insieme con loro, si che attori sieno tutti, e tutti sieno come un solo essere organico, animato dallo stesso spirito. Una scuola cosí fatta non vale solo a educare l’intelligenza, ma, ciò che è piú, ti forma la volontá. Vi si apprende la serietá dello scopo, la tenacitá de’ mezzi, la risolutezza accompagnata con la disciplina e con la pazienza; vi si apprende innanzi tutto ad essere un uomo.

Cosi ho sempre concepita io la scuola, e sempre mi è parso cosa facile; perché lá dentro io ci mettevo tutto me, e godevo di

F. de Sanctis, La poesia cavalleresca. i9