Pagina:De Sanctis, Francesco – Lezioni sulla Divina Commedia, 1955 – BEIC 1801853.djvu/149

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francesca da rimini i43


[i comentatori] notano: — Affetto qui è figura rettorica, e significa desiderio. — Gente senza cuore, e il genio che ha ispirato Dante in questa poesia è meno nella sua testa che nel suo cuore. Quando Francesca, sforzando la grammatica, dice «affetto», non è giá il desiderio che Dante ha di conoscere la sua storia che le si presenta dinanzi, ma l’affetto col quale esprime il suo desiderio, non avendo potuto sfuggire a quell’anima delicata il modo commovente col quale Dante chiamandola per nome le avea detto:

                                    .  .  .  .  .  Francesca, [i tuoi martiri
A lagrimar mi fanno tristo e pio.]
     

Tale è Francesca; e chi è Paolo? Non so. E se voi mi nominate Francesca io vi dirò: ha tale e tal carattere; e se voi mi nominate Paolo, io vi ripeterò pensandovi: non lo so. Paolo è la espressione muta di Francesca; la corda che freme quello che la parola parla; il gesto che accompagna la voce; l’uno parla, l’altro piange; il pianto dell’uno è la parola dell’altro: sono due colombe portate dallo stesso volere; tal che al primo udirli non sai quale parli e quale taccia, ed in tanta somiglianza ti par quasi che la stessa voce parta da tutti e due, e puoi ripetere con veritá quello che Dante ti dice:

                                    Queste parole da lor ci fûr pôrte.
Quando io intesi quell’anime offense...
     

E perché il poeta ha resi indivisibili questi due cuori? — Perché non sono dannati — risponde il Ginguené. Perché sono dannati, perché tutt’i peccatori dell’inferno dantesco serbano le stesse passioni, e perciò sono impenitenti e dannati; perché Filippo Argenti è nell’inferno cosí bestiale come fu in terra, e Capaneo bestemmia nell’inferno non altrimenti che in terra; perché Francesca ha amato ed ama ed amerá e non può non amare; perché l’infelice non sa risolversi a staccarsi