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«satana e le grazie» di g. prati 95

come è ogni abitudine, il poeta ci dá dentro senza ch’ei se ne accorga, ed anche quando non è richiesto dall’argomento.

.  .  .  .  .  .  .  .  .  Guatollo Erman; del capo
Niegò; ma tacque. Dall’aperta gola
L’urlo saria dell’Omicidio uscito.
Ora l’omicida si manifesta col rossore, con l’impaccio, col disordine delle idee, col turbamento ed il balbettare della voce, ma non mica urlando: — Io sono un omicida! —
Sia lanciato quel reo fuor de’ viventi!
Qui la divina Eva mostra una semplicitá olimpica, e non ha quel tantino di malizia, che non manca mai ad una donna, la quale simuli una passione per sospingere il braccio dell’uomo al sangue. Usando questa frase enfatica, ella non s’avvede che spaventa la fantasia del prete, innanzi al quale bisogna rimpicciolire il delitto e rimuoverne ogni immagine atroce e cruenta. Egisto, quando sta solo, guarda con voluttá quel sangue che fa spargere a Clitennestra e s’inebbria dello spettacolo; ma quando Clitennestra gli domanda: che ho a fare? egli non risponde... «Sia lanciato quel reo fuor de’ viventi...»; risponde... «Nulla!» e parlano intanto i suoi occhi. Questa maniera di Prati ci spiega ancora la bellezza meccanica ed astratta del suo verso. — Che affetto! che fantasia! quanta veritá! — ecco ciò che dee dire e dice il lettore innanzi ad una bella poesia. Quando egli, come ho inteso di questo lavoro, dice a prima impressione: — che bei versi! — , è segno che il verso è rimaso fuori della cosa e che se ne stacca con una certa pretensione di voler far egli la prima comparsa. Pus de beaux vers! dicea Talma col suo profondo senso dell’arte. Il verso è come la parola, che per sé non è nulla, e riceve il suo significato dalla cosa: chi si ferma alla parola ha obliato la cosa. Il verso ha il suo meccanismo, un cotal tipo astratto ed esterno di bellezza, che è posto in una combinazione di suoni da cui esca piú