Pagina:De Sanctis, Francesco – Saggi critici, Vol. I, 1952 – BEIC 1803461.djvu/136

Da Wikisource.
i30 saggi critici

posto il «tale argomento» ed il «tale artista», in qual guisa quella materia è stata lavorata? Avendo l’autore esposto gli antecedenti del problema, io ho potuto mostrare come quella esposizione avrebbe dovuto condursi; ma quanto al problema, non un sol vestigio; egli non ne ha sentore, lo salta a piè pari; e però io non dirò in che modo, a parer mio, si sarebbe dovuto risolvere, poiché non presumo giá di sostituire me all’autore. Dirò solo che, non essendosi egli collocato a quest’altezza, i tre ultimi suoi capitoli non possono essere e non sono che un sommario delle tre cantiche. Il contenuto esposto innanzi, come semplice fatto, che dovrebbe ora riapparire come fatto poetico, è dimenticato; quei cinque capitoli gli è come se non fossero; egli rifá un simulacro di parte generale, gittando osservazioni sulla immortalitá dell’anima, sulla eternitá delle pene, sulla predestinazione, ecc., che non hanno alcun legame col rimanente, né alcuna applicazione. Viene il sommario, cioè a dire, una esposizione analitica delle tre cantiche. Che cosa è questa? Senza una concezione del poema e di ciascuna cantica altro che vaga e confusa, senza un centro ed un punto di partenza, il critico segue il poeta passo passo: trasanda alcune cose che gli sembrano indifferenti o poco notabili, si ferma a certe altre che gli paiono belle. È la critica alla maniera del Ginguené, del Sismondi, del Bouterveck, una critica di particolari: è un viaggio in cui segue ogni svoltata della strada senza scopo e senza disegno: si osserva questo, si ammira quest’altro, e non giungi mai a tale altezza che tu intenda «del cammin la mente» secondo l’ardita metafora dantesca. Questo genere di critica a spizzico ed a bocconi è il non plus ultra della scuola antica; il Laharpe in Francia ce ne ha pòrto splendido esempio. Ma in questo campo quanto cammino vi ha fatto il Lamennais! Nella scuola antica la impressione di rado serbavasi spontanea ed ingenua, falsata come era dalla rettorica, da regole preconcette, da gusto fattizio e di convenzione, da una certa pedantesca acutezza, che, non contenta delle bellezze semplici e caste ch’e si offrono naturalmente allo sguardo, si compiaceva delle sottili interpretazioni, e per troppo abbellire il testo, lo adulterava e